lunedì 31 marzo 2014

La disoccupazione e la disinformazione fatta usando dati spesso citati erroneamente.

Ogni giorno dopo aver fatto colazione, parto da casa per prendere il treno che mi porterà sul posto di lavoro. Salgo, trovo un posto e accendo il portatile. Una delle prime azioni che compio è scendere con il cursore in basso a sinistra; la dashboard compare sul mio schermo e tra i vari widget controllo quello che mi dà le quotazioni aggiornate degli indici e strumenti finanziari che mi interessano. Non sono un broker, ne un multimilionario, ma quest'azione di controllo degli indici che influiscono sui miei (pochi) risparmi è ormai una quotidiana abitudine. E' incredibile come più volte al giorno vengano aggiornate migliaia di quotazioni e come sia semplice ottenerle in tempo quasi reale. Qualcuno di voi saprebbe dirmi con la stessa esattezza quanti sono in questo momento i disoccupati in Italia? Qualcuno risponderebbe "circa 3,3 milioni", qualcun altro il 12,9%, qualcuno infine direbbe "tanti" e questo non sarebbe un burlone, ma probabilmente l'unico che ha dato una risposta esatta se pur grossolana. La realtà è che nessuno sa con certezza quanti sono i disoccupati in un preciso momento.



Avete capito bene, le cifre, i numeri che sentite settimanalmente ripetuti ai telegiornali, nei talk show televisivi sono, per la maggior parte dei cittadini, ingannevoli. La stragrande maggioranza della popolazione non ha la benché minima idea di che fenomeno questi misurano, mentre, per quei pochi che conoscono il sistema della rilevazione sulle forze di lavoro, quei numeri sono poco significativi o semplicemente la sottostima di un fenomeno ben più grave. Partiamo proprio da questa parola, (quasi) mai utilizzata dai telegiornali o dai giornalisti: "stima". Ebbene sì, le cifre che fornisce l'ISTAT sono stime e si basano sull'intervista di un campione che raggiunge l'1% circa della popolazione (Numerosità campionaria - "Ogni anno viene intervistato un campione di oltre 250 mila famiglie residenti in Italia (per un totale di circa 600 mila individui distribuite in circa 1.100 comuni italiani"). Durante il mio corso di statistica, quando dovevo svolgere un'indagine statistica, su un campione, i risultati, derivanti da un'inferenza, dovevano presentare alcuni valori che esprimessero la bontà della mia indagine, l'intervallo di confidenza, l'errore standard e così via. Quello che succede è invece che questi dati vengono venduti dai media come derivanti da un censimento, ossia vengono presentati come fossero la bibbia. Da sottolineare che anche fossero derivanti da un censimento sarebbero gravati da possibili errori derivanti dalla metodologia utilizzata per la raccolta, giacché il tutto è il risultato di questionari cartacei.

Qualcuno starà dicendo che queste sono solo tecnicità e che i giornalisti sanno quello che scrivono o dicono. Bene, nei vari talk show, telegiornali e via discorrendo avete mai sentito qualcuno presentare o spiegare cosa misura il tasso di disoccupazione? Oppure, meglio ancora, qualcuno vi ha mai fornito la definizione di "disoccupato"? No? Quindi, probabilmente, l'idea che vi siete fatti tutte le volte che avete sentito quei numeri è del tutto errata. Già, non importa quale sia la definizione che voi avete in mente per "disoccupato" e nemmeno quella che trovate sul Treccani o su Wikipedia o sullo Zingarelli.

Wikipwdia


La disoccupazione è la condizione di mancanza di un lavoro per una persona in età da lavoro (da 16 a 60 anni) che lo cerchi attivamente, sia perché ha perso il lavoro che svolgeva (disoccupato in senso stretto), sia perché è in cerca della prima occupazione (inoccupato). È la condizione opposta all'occupazione.


Treccani.it

Diṡoccupato agg. e s. m. (f. -a) [comp. di dis-1 e occupato]. – agg. Di persona, non occupato in un lavoro, libero da occupazioni
s. m. e agg. Chi o che non ha o non trova un’occupazione; in senso ristretto, chi è stato privato della sua abituale occupazione (e del reddito relativo) ed è quindi in cerca di un’altra (distinto perciò da inoccupato)

Queste definizioni per il nostro scopo sono inutili, l'unica definizione che ha valore è quella dell'ISAT, in quanto su quella si basano i numeri che ci vengono presentati periodicamente. Per iniziare, una caratteristica fondamentale per poter essere considerato disoccupato è non rientrare nella categoria degli occupati. Qualcuno ancora dirà, "bravo, hai scoperto l'acqua calda!". Ebbene, sapevate che è considerato occupato colui che lavora almeno un'ora a settimana? Sapevate che coloro che sono in cassa integrazione sono considerabili "occupati"? Potreste aver risposto in modo corretto a queste domande ma sicuramente alcuni passaggi che l'ISAT valuta (con un questionario di 70 pagine) ai più sono ignoti. Nella rilevazione sulle forze di lavoro il cittadino viene classificato in tre categorie: occupato, disoccupato e inattivo. Come? Spiegarlo richiederebbe un paio di pagine, quindi utilizzerò un paio di schemi logici (riferimento: ISTAT).





Se avete letto quanto riportato nel link o perlomeno dato uno sguardo anche poco attento ai due schemi logici vi sarete resi conto che effettuare la distinzione tra le tre categorie non è così immediato e coerente con la definizione che l'italiano medio ha di "occupato" e "disoccupato". A questo punto passiamo ai numeri, quelli espressi in percentuale. Avete mai letto un titolo di giornale o sentito ad un telegiornale o un qualsiasi politico di turno affermare "un giovane su tre (alcuni hanno anche detto quasi un giovane su due) è disoccupato"? Ebbene, ancora una volta queste persone travisano la realtà, cosa peraltro segnalata anche dall'ISTAT; non vi lascio altri riferimenti in quanto ho sentito tali affermazioni così soventemente che probabilmente le avrete sentite anche voi. Questi annunci seguono spesso le pubblicazioni dei dati da parte dell'ISTAT sui tassi di disoccupazione. Ma come si calcola il tasso di disoccupazione? Nulla di trascendentale, semplicemente si mettono i disoccupati (stimati) a numeratore e la somma tra disoccupati e occupati (stimati) a denominatore. Tale procedimento non tiene quindi conto degli inattivi! Il glossario dei termini utilizzati è disponibile sempre sul sito dell'ISTAT, che spiega, in questo caso molto semplicemente, come si calcolano i vari tassi. Sebbene non particolarmente complicata la suddivisione dei cittadini nelle tre categorie e i relativi tassi calcolati possono trarre in inganno il cittadino. Ad esempio una diminuzione del tasso di disoccupazione non è per forza dovuta ad un aumento degli occupati, quindi non è obbligatoriamente frutto di nuovi posti di lavoro. Lo stesso si può dire inversamente, l'aumento del tasso di disoccupazione non è strettamente dipendente da un aumento nel valore assoluto dei disoccupati. Lo spiego meglio con un'esempio che rende bene il concetto su cui voglio portare la vostra attenzione.
Probabilmente sapete che il tasso di disoccupazione giovanile (stimato) è il più alto da quando vi sono dati storici (1977 - trovate tutte i dati sul datawarehouse iSTAT ) ma i disoccupati giovani (15-24 anni) in valore assoluto rappresentano uno dei valori più bassi nelle serie storiche!



Le stime (potrei dire dati, ma è meglio utilizzare il nome corretto) mostrano come la crisi scoppiata nel 2007 abbia avuto molto più effetto sulla disoccupazione in senso generale che su quella ristretta alla fascia di età 15-24, eppure la maggior parte dei politici enfatizza il tasso di disoccupazione giovanile. Inoltre, si può notare come prima del 2000 i giovani disoccupati siano sempre e costantemente un numero maggiore di quello odierno, eppure il tasso di disoccupazione giovanile oggi segna un record assoluto! Il perché è a me evidente, sono aumentati gli inattivi in quella fascia di età e quindi il denominatore (la forza lavoro) è crollata. Non voglio negare la drammaticità della situazione, tutt'altro, voglio semplicemente far capire come i dati vengano utilizzati per uno scopo senza invece presentare il fenomeno vero che tali dati raffigurano. 

Ora, che avete nozioni e riferimenti che vi permettono di capire il fenomeno che viene misurato dal tasso di disoccupazione e la metodologia che lo misura, ora sì, potete fare una valutazione oggettiva sui dati che sentite o leggete spesso sui vari mezzi di comunicazione. La mia personale opinione è che nell'anno di grazia 2014, la rilevazione delle forze di lavoro dovrebbe essere automatica. Dovremmo poter discutere su dati veri e analizzabili utilizzando diverse variabili, per questo l'agenda digitale è importantissima, perché potrebbe fornire dati aggiornati e corretti su fenomeni di importanza cruciale per il futuro del nostro Paese. Questi dati dovrebbero poi essere aperti, il famoso Open Data, tanto declamato e tanto lasciato in fondo al cassetto dei progetti avviati, ma mai spinti verso una vera attuazione. Conoscere i valori di salute di questa nazione dovrebbe essere un'azione simile a quella che compio tutte le mattine quando controllo le quotazioni di mercato di investimenti che magari hanno base all'altro capo del mondo. Invece no, questi processi non vengono innovati, perché si attengono alle regole internazionali per la misurazione della forza lavoro, perché si è sempre fatto così, non c'è motivo di cambiare! Già, è molto meglio lasciare tutto com'è, far compilare questionari di 70 pagine a miglia di persone ogni settimana, e pagarne centinaia per analizzarli e condurre questa indagine statistica che porta a dati quantomeno inesatti. Dati dei quali molti "addetti ai lavori" parlano, alcuni senza nemmeno conoscere le poche righe che qui ho riportato. Gli stessi media stravolgono i numeri pur di gonfiare una notizia e creare più audience (fatto riportato dallo stesso istituto nazionale di statistica).

Recentemente una dichiarazione del Presidente del Consiglio dei Ministri ha confermato quanto sia importante avere dati sicuri e condivisi, grazie ai quali si possano impostare riforme serie e credibili. Speriamo per il futuro di questo Paese che alle parole seguano i fatti e che si inizi da subito a creare una cultura del dato, dell'informazione non volta ad aumentare l'audience, lo share o le vendite di qualsivoglia quotidiano ma bensì a dare al cittadino nozioni e dettagli veritieri (non sensazionalistici)  su qualsivoglia materia.


Bersaglio Mobile (La7) - venerdì 28 marzo 2014 - Intervista al primo ministro Matteo Renzi - Video Originale"
  


mercoledì 26 marzo 2014

La discussione sugli stipendi dei manager pubblici. Un'altra contrapposizione volta alla caccia al voto.

In questi giorni, la questione posta dal primo ministro Matteo Renzi sta producendo una discussione continua, sui giornali, nei salotti televisivi e anche tra la gente comune. La discussione è nata non solo dalla dichiarazione del presidente del consiglio dei ministri di adattare la retribuzione dei manager pubblici a quella del presidente della Repubblica, ma è stata alimentata dalle affermazioni fatte a riguardo da personaggi di spicco interessati alla riforma, primo su tutti l'amministratore delegato di FS Moretti.



Come gli altri dipendenti pubblici che apprendono dei possibili tagli nel loro settore, anche l'AD di ferrovie dello stato ha manifestato il suo disaccordo con le misure che dovrebbero andare a impattare sulla sua retribuzione. Nel panorama politico, chi più moderatamente e chi con impeto, molti si sono scagliati contro Moretti, reo di percepire uno stipendio a loro giudizio astronomico. Leggendo i commenti sugli articoli di giornale che riguardano questo tema si trovano osservazioni di privati cittadini che vanno dalla ridicolizzazione all'insulto dell'AD di Trenitalia. Molti di questi commenti sono anche argomentati, spesso in maniera poco pertinente (i treni fanno schifo, le stazioni puzzano, "chiedi ai pendolari" e via discorrendo, leggete voi stessi: La Repubblica, Corriere); il tutto è rispecchiato spesso nei dibattiti televisivi. Tutte queste affermazioni non hanno a che fare con la questione di porre o non porre un tetto a determinati stipendi, piuttosto sono pertinenti alla determinazione di parametri che dovrebbero "aggiustare" l'entità dello stipendio, il che è tutta un'altra storia!

Partiamo da un punto fermo, viviamo in un'economia di mercato, che ci piaccia oppure no. In un'economia di mercato la remunerazione di un lavoratore è data dall'incrocio di domanda e offerta di lavoro. La Costituzione è abbastanza chiara a riguardo:

Articolo 36 - Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. [...]

Da questa definizione traspare che alle regole di mercato deve essere apposto un limite, almeno per la nostra Costituzione. Il limite imposto è però verso il basso, non verso l'alto. Deve essere stabilito un salario minimo che garantisca un'esistenza libera e dignitosa all'individuo che lo percepisce e alla sua famiglia. Non è invece menzionato da nessuna parte che debba essere imposto un limite verso l'alto, al contrario, la carta scritta dai padri costituzionalisti, stabilisce che la retribuzione deve essere calcolata basandosi sulla quantità e qualità del lavoro prestato dal lavoratore. Come misurare la "quantità" è noto, non si può dire altrettanto per la "qualità".

Se calcolare la "qualità" tra due lavori eterogenei può risultare molto complicato, farlo tra due mansioni omogenee semplifica sicuramente la vita. Prendiamo ad esempio un'infermiera di una struttura pubblica e una in una struttura privata; per la Costituzione a parità di qualità e di quantità di lavoro prestato dovrebbero ricevere la stessa remunerazione. A mio modo di vedere due super-manager con compiti equivalenti che operano in situazioni e realtà equivalenti che abbiano lavorato allo stesso modo e per lo stesso tempo (qualità e quantità) dovrebbero ricevere la stessa retribuzione...

La qualità in questo paese è decisa in gran parte dal datore di lavoro, quindi vi sono persone che a parità di quantità e qualità di lavoro prestato percepiscono remunerazioni che possono differire anche in maniera molto significativa tra loro (ingiustamente). Questa è chiaramente una delle prime cause di mobilità nel lavoro. Il lavoratore cercherà il posto di lavoro dove la sua prestazione è meglio remunerata. Ora supponiamo che l'Italia abbia una squadra di calcio pubblica impegnata nel massimo campionato nazionale, la serie A. Fino ad oggi i giocatori erano pagati rispettando il mercato e la squadra sta combattendo per lo scudetto. Da domani viene detto ai calciatori che il loro stipendio verrà abbassato a una cifra fissa, peraltro molto inferiore a quanto percepito finora e quindi molto inferiore ai prezzi di mercato. Il risultato sarà che i campioni presenti in quella squadra andranno altrove e la conseguenza sarà che la squadra cadendo nella mediocrità perderà posizioni in classifica fino a retrocedere. Chiaramente, in serie A devono giocarci i calciatori migliori, non quelli raccomandati e così via; la meritocrazia non ha nulla a che vedere con la scelta di mettere o non mettere un tetto a determinate posizioni contrattuali!

Non ho utilizzato nemmeno una cifra finora, poiché questo argomento per essere trattato non necessita cifre. Sinceramente rimango sbigottito quando vedo conduttori televisivi di trasmissioni di attualità parteggiare per il populismo, e cioè stimolare ancor più l'antipatia verso posizioni che non vengono nemmeno spiegate. Bruno Vespa o Fabio Fazio guadagnano quanto se non più di Moretti, e pure loro sono dipendenti pubblici, ma la loro azienda sta sul mercato in concorrenza con Mediaset, La7 e via discorrendo. Ebbene per le regole della concorrenza non dovrebbero essere pagati un decimo di un conduttore avverso, specie se la qualità e la quantità di lavoro prestato è eguale.

La vera questione è come determinare lo stipendio senza apporre dei tetti a questo, ma utilizzando degli obiettivi, delle scale che misurino l'operato di un manager piuttosto che un altro. La meritocrazia va (deve essere) premiata sia nel pubblico che nel privato. Se le persone disdegnano il modello socio-economico che regola le nazioni sviluppate, e quindi anche la nostra dovrebbero prendersela con quello, non con coloro che il sistema lo seguono e che il sistema favorisce. Se Ibrahimovic guadagna giornalmente quanto un operaio medio in un anno, non è certo colpa sua, piuttosto è il sistema che porta a queste condizioni e all'iniquità.

Forse, era più facile dire che la persona X guadagna oltre 800.000 euro l'anno e si lamenta se da domani ne guadagnerà 240.000 per fare ascolti o prendere l'applauso, senza spiegare da cosa deriva tale stipendio. Tutto questo a prescindere da quante persone avrebbero da vivere spartendo un tale stipendio, altra considerazione che non ha nulla a che vedere col tema, poiché se quello diventa il tema, bisognerebbe parlare del sistema socio-economico e non delle retribuzioni dei manager pubblici.


Termino con un video sugli stipendi RAI, enunciati dal direttori Gubitosi che dà l'idea di cosa vuol dire il mercato.






lunedì 24 marzo 2014

Perché il principale canale di informazione si sta trasformando in canale di intrattenimento

Pochi giorni fa ho terminato di leggere un libro di Piero Angela molto interessante: "A cosa serve la politica?". Nel percorso che il famoso presentatore di Superquark compie nel suo elaborato analizza particolari aspetti che caratterizzano la nostra nazione e li mette in relazione con la politica. In uno degli ultimi capitoli si sofferma sul mezzo di comunicazione che forse più gli è caro, la televisione.

“Spesso si dice che la televisione perde telespettatori, e che ormai tutto si sta spostando su Internet, sul web. A guardare i dati non sembra. Questo è certamente vero per i giovani, ma non sempre (del resto anche su Internet si vedono i programmi televisivi, e questo ascolto non è rilevato). I dati dicono, in realtà, che gli ascolti sono aumentati. Negli ultimi 5 anni la platea televisiva è aumentata del 6 per cento, sfiorando la media di 10 milioni di spettatori nelle 24 ore (naturalmente con punte molto elevate nella prima serata, mediamente di oltre 25 milioni). [...] “il “consumo” medio pro capite è ora di circa 4 ore e 6 minuti al giorno! “È una dose molto elevata, a pensarci bene: tenendo conto che l’ascolto si estende non solo al sabato e alla domenica, ma anche nel periodo estivo e nelle feste comandate, le ore totali annue ammontano a circa 1.500 (in realtà sono circa 2.000 se si escludono le persone che non guardano mai la TV). Le ore passate a scuola da uno studente nel corso dell’anno sono circa 800-1000. Ma lo studente a un certo punto finisce gli studi, mentre il telespettatore guarda il teleschermo per tutta la vita.”

Personalmente abbasso la media; sono un giovane appassionato delle nuove tecnologie e quindi tendo ad utilizzare altri strumenti per informarmi. Leggo quotidiani online, blog di personaggi esperti in particolari materie alle quali sono interessato, seguo personaggi che ritengo degni di nota nel panorama nazionale e internazionale su Twitter e consulto i contenuti che loro condividono, filtrando così nuove fonti di informazione in base ai miei interessi. Questi solo per citare alcuni dei canali d'informazione che utilizzo maggiormente.

Non rappresento però un'eccezione; sono anch'io, in piccola parte, un telespettatore. Gli unici programmi che seguo sono quelli di attualità e i telegiornali, spesso grazie a servizi di streaming su internet. Ogni giorno che passa noto una continua mancanza nel culto dell'informazione o meglio nella comunicazione dei dati. Nel suo libro Piero Angela fa riferimento a quanto negli ultimi anni la televisione in Italia sia divenuta schiava dell'audience. Ciò che importa non è informare il cittadino o accrescere il bagaglio culturale dei telespettatori, ma fare share.

“Le due voci principali del bilancio Rai sono rappresentate dall’abbonamento (attualmente evaso al 27 per cento, senza che nulla venga fatto dal governo per evitare questa evasione di massa) e dalla pubblicità. Il dato clamoroso, che bisognerebbe sempre tener presente quando si parla di programmi televisivi, è che “un” solo punto in meno di share (cioè di percentuale d’ascolto) globale annuo significa per l’azienda una perdita di quasi 25 milioni di euro in introiti pubblicitari! Un solo punto: una perdita equivalente a 50 miliardi di vecchie lire... È evidente che, in queste condizioni, per far quadrare i bilanci, attraverso sufficienti entrate pubblicitarie, occorre ottenere buoni ascolti. Ma per “fare audience” bisogna trasmettere soprattutto programmi popolari di intrattenimento oppure programmi in cui si litiga (il litigio, o lo scontro verbale è una delle cose che funzionano meglio), perché non è facile fare ascolti con programmi culturali o di conoscenza."

Ieri sera ho seguito, mentre preparavo materiale per la mia tesi, la trasmissione "Piazza Pulita" diretta da Corrado Formigli su La7. La puntata è stata un'ottima dimostrazione empirica delle parole di Piero Angela. I temi che la trasmissione cercava di affrontare erano sicuramente importanti e interessanti, dallo stipendio dei manager pubblici alle voci di taglio della spendig review proposta dal commissario Cottarelli, purtroppo l'output del dibattito è stato per l'appunto intrattenimento, non informazione.

Molto spesso i dibattiti televisivi si risolvano in battibecchi tra avversari politici, ciò potrebbe anche essere parte interessante di un contraddittorio che aiuta il cittadino a farsi un'opinione politica, ma in realtà così non è. Nel corso di una puntata di oltre due ore effettive i presenti snocciolavano dati e informazioni di ogni genere, dando così l'impressione al cittadino di conoscere la materia di cui parlavano e orientando così le preferenze politiche dei telespettatori. Ebbene, tutti possono sbagliare, ma quando gli sbagli vanno sempre nella direzione che supporta la tesi esposta dal politico / dirigente / sindacalista di turno a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina.

Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, ieri affermava "12 anni fa eravamo la quarta potenza mondiale", postando tale affermazione su Twitter pochi minuti dopo. Non contento lo ha pure caricato sul suo profilo Youtube "12 anni fa senza euro Italia quarta potenza mondiale, adesso siamo schiavi dei vincoli europei".




I casi non sono pochi, alcuni sono eclatanti, e molto spesso non vengono segnalati né dal conduttore né da altri ospiti presenti, se codeste affermazioni non sono in contrasto con tesi di loro interesse. Inoltre, spesso e volentieri vengono presentati temi in maniera fuorviante a seconda del messaggio che si vuol far passare. Un punto della spending review di Cottarelli riguardava i tagli agli apparati di polizia. Il tema della sicurezza in Italia va sicuramente affrontato, ed è giusto battersi per un sistema che garantisca una migliore protezione per tutti i cittadini contro reati e illeciti di qualsiasi natura. Nella puntata hanno intervistato coloro che soffrono in prima persona della mancanza di sicurezza, che hanno subito rapine e altri che ravvisavano preoccupazioni a riguardo di effrazioni che potrebbero verificarsi nuovamente. Hanno poi intervistato i poliziotti che chiaramente denunciano il taglio di personale e la sempre maggiore mancanza di risorse per fare il lavoro che potrebbero perdere per via dei tagli stessi. Ciò che non è stato fatto vedere sono i dati EUROSTAT mostrati da Cottarelli a riguardo di tale punto, ossia il numero di poliziotti presenti negli stati europei. In Italia sono il 56,3% in più che in Germania e il 49,3% in più che in Francia. Significa che a parità di popolazione se in Germania e in Francia si sono due poliziotti, in Italia ce ne sono tre.



Chiaramente, una sfuriata di Sgarbi e i richiami a un'Italia quarta potenza mondiale, così come le spinte populiste su temi importanti come quello della sicurezza, fanno audience. La domanda che tutti noi dovremmo farci però è un'altra: creano informazione? Sarebbe congruo, avere dei resoconti delle affermazioni fatte dai vari ospiti all'inizio di ogni puntata successiva, un fact checking sulle dichiarazioni che riguardano dati e citazioni in modo da sensibilizzare coloro che partecipano ai talk show dall'astenersi dal fare intrattenimento (a scopo elettorale) ed aiutare le trasmissioni televisive a fare informazione, anche a discapito dell'audience.  

Lungi dal dire che tutti gli ospiti delle trasmissioni che trattano attualità, così come le trasmissioni stesse siano uguali, uno strumento che aiuti a favorire la vera informazione ad emergere, grazie alle tecnologie odierne dovrebbe essere implementato e adottato dalla televisione.

L'informazione sfuocata ("Fuzzy info").