mercoledì 26 marzo 2014

La discussione sugli stipendi dei manager pubblici. Un'altra contrapposizione volta alla caccia al voto.

In questi giorni, la questione posta dal primo ministro Matteo Renzi sta producendo una discussione continua, sui giornali, nei salotti televisivi e anche tra la gente comune. La discussione è nata non solo dalla dichiarazione del presidente del consiglio dei ministri di adattare la retribuzione dei manager pubblici a quella del presidente della Repubblica, ma è stata alimentata dalle affermazioni fatte a riguardo da personaggi di spicco interessati alla riforma, primo su tutti l'amministratore delegato di FS Moretti.



Come gli altri dipendenti pubblici che apprendono dei possibili tagli nel loro settore, anche l'AD di ferrovie dello stato ha manifestato il suo disaccordo con le misure che dovrebbero andare a impattare sulla sua retribuzione. Nel panorama politico, chi più moderatamente e chi con impeto, molti si sono scagliati contro Moretti, reo di percepire uno stipendio a loro giudizio astronomico. Leggendo i commenti sugli articoli di giornale che riguardano questo tema si trovano osservazioni di privati cittadini che vanno dalla ridicolizzazione all'insulto dell'AD di Trenitalia. Molti di questi commenti sono anche argomentati, spesso in maniera poco pertinente (i treni fanno schifo, le stazioni puzzano, "chiedi ai pendolari" e via discorrendo, leggete voi stessi: La Repubblica, Corriere); il tutto è rispecchiato spesso nei dibattiti televisivi. Tutte queste affermazioni non hanno a che fare con la questione di porre o non porre un tetto a determinati stipendi, piuttosto sono pertinenti alla determinazione di parametri che dovrebbero "aggiustare" l'entità dello stipendio, il che è tutta un'altra storia!

Partiamo da un punto fermo, viviamo in un'economia di mercato, che ci piaccia oppure no. In un'economia di mercato la remunerazione di un lavoratore è data dall'incrocio di domanda e offerta di lavoro. La Costituzione è abbastanza chiara a riguardo:

Articolo 36 - Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. [...]

Da questa definizione traspare che alle regole di mercato deve essere apposto un limite, almeno per la nostra Costituzione. Il limite imposto è però verso il basso, non verso l'alto. Deve essere stabilito un salario minimo che garantisca un'esistenza libera e dignitosa all'individuo che lo percepisce e alla sua famiglia. Non è invece menzionato da nessuna parte che debba essere imposto un limite verso l'alto, al contrario, la carta scritta dai padri costituzionalisti, stabilisce che la retribuzione deve essere calcolata basandosi sulla quantità e qualità del lavoro prestato dal lavoratore. Come misurare la "quantità" è noto, non si può dire altrettanto per la "qualità".

Se calcolare la "qualità" tra due lavori eterogenei può risultare molto complicato, farlo tra due mansioni omogenee semplifica sicuramente la vita. Prendiamo ad esempio un'infermiera di una struttura pubblica e una in una struttura privata; per la Costituzione a parità di qualità e di quantità di lavoro prestato dovrebbero ricevere la stessa remunerazione. A mio modo di vedere due super-manager con compiti equivalenti che operano in situazioni e realtà equivalenti che abbiano lavorato allo stesso modo e per lo stesso tempo (qualità e quantità) dovrebbero ricevere la stessa retribuzione...

La qualità in questo paese è decisa in gran parte dal datore di lavoro, quindi vi sono persone che a parità di quantità e qualità di lavoro prestato percepiscono remunerazioni che possono differire anche in maniera molto significativa tra loro (ingiustamente). Questa è chiaramente una delle prime cause di mobilità nel lavoro. Il lavoratore cercherà il posto di lavoro dove la sua prestazione è meglio remunerata. Ora supponiamo che l'Italia abbia una squadra di calcio pubblica impegnata nel massimo campionato nazionale, la serie A. Fino ad oggi i giocatori erano pagati rispettando il mercato e la squadra sta combattendo per lo scudetto. Da domani viene detto ai calciatori che il loro stipendio verrà abbassato a una cifra fissa, peraltro molto inferiore a quanto percepito finora e quindi molto inferiore ai prezzi di mercato. Il risultato sarà che i campioni presenti in quella squadra andranno altrove e la conseguenza sarà che la squadra cadendo nella mediocrità perderà posizioni in classifica fino a retrocedere. Chiaramente, in serie A devono giocarci i calciatori migliori, non quelli raccomandati e così via; la meritocrazia non ha nulla a che vedere con la scelta di mettere o non mettere un tetto a determinate posizioni contrattuali!

Non ho utilizzato nemmeno una cifra finora, poiché questo argomento per essere trattato non necessita cifre. Sinceramente rimango sbigottito quando vedo conduttori televisivi di trasmissioni di attualità parteggiare per il populismo, e cioè stimolare ancor più l'antipatia verso posizioni che non vengono nemmeno spiegate. Bruno Vespa o Fabio Fazio guadagnano quanto se non più di Moretti, e pure loro sono dipendenti pubblici, ma la loro azienda sta sul mercato in concorrenza con Mediaset, La7 e via discorrendo. Ebbene per le regole della concorrenza non dovrebbero essere pagati un decimo di un conduttore avverso, specie se la qualità e la quantità di lavoro prestato è eguale.

La vera questione è come determinare lo stipendio senza apporre dei tetti a questo, ma utilizzando degli obiettivi, delle scale che misurino l'operato di un manager piuttosto che un altro. La meritocrazia va (deve essere) premiata sia nel pubblico che nel privato. Se le persone disdegnano il modello socio-economico che regola le nazioni sviluppate, e quindi anche la nostra dovrebbero prendersela con quello, non con coloro che il sistema lo seguono e che il sistema favorisce. Se Ibrahimovic guadagna giornalmente quanto un operaio medio in un anno, non è certo colpa sua, piuttosto è il sistema che porta a queste condizioni e all'iniquità.

Forse, era più facile dire che la persona X guadagna oltre 800.000 euro l'anno e si lamenta se da domani ne guadagnerà 240.000 per fare ascolti o prendere l'applauso, senza spiegare da cosa deriva tale stipendio. Tutto questo a prescindere da quante persone avrebbero da vivere spartendo un tale stipendio, altra considerazione che non ha nulla a che vedere col tema, poiché se quello diventa il tema, bisognerebbe parlare del sistema socio-economico e non delle retribuzioni dei manager pubblici.


Termino con un video sugli stipendi RAI, enunciati dal direttori Gubitosi che dà l'idea di cosa vuol dire il mercato.






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