martedì 29 aprile 2014

La riorganizzazione, l'efficientamento, la sinergizzazione... in parole povere la disoccupazione tecnologica.

Alcune delle parole che ho usato nel titolo ricorrono quotidianamente altre no. In questi giorni si dibatte molto il piano presentato da Cottarelli sulla spending review. Altrettanto dibattute alcune misure di tipo più politico che l'attuale governo sta man mano approvando come la diminuzione delle auto blu, il taglio del senato della repubblica, delle province, del CNEL e di altri enti che a detta dell'attuale Presidente del Consiglio non apportano alcuna utilità al Paese e rappresentano quindi un costo. Il piano di Cottarelli prevederebbe esuberi per 85.000 persone nel pubblico impiego, Matteo Renzi con il suo taglio alla politica promette di ridurre di 3000 il numero dei politici. Questo, sempre se realizzato, potrebbe essere considerato un efficientamento. D'altro canto queste persone non avranno più un posto di lavoro, anzi ad essere precisi non ci sarà più quel posto di lavoro. La verità è che seppur importante come riduzione di personale non è nemmeno paragonabile al risultato di una vera riforma della PA, quella che si potrebbe chiamare sinergizzazione della funzione pubblica.

Pensate per un attimo che le funzioni dello Stato debbano essere tutte re-implementate, così come i processi che deve adempiere il singolo cittadino o la singola impresa verso la PA e viceversa. In questo ipotetico sistema paghereste del personale per distribuire e analizzare questionari cartacei per monitorare il livello occupazionale o costruireste un sistema informatico digitale che vi possa dare dati certi in tempo reale? Dareste ai cittadini ancora carte d'identità di carta pregiata oppure utilizzereste un sistema avanzato di riconoscimento con la possibilità di fare un match tra il cittadino e i servizi che utilizza grazie all'autenticazione che l'identità gli consente? Mettereste in piedi un sistema informatico che permette ad aziende e cittadini di avere la loro situazione fiscale sempre sotto controllo, con un canale telematico diretto verso la PA per eventuali controversie o gli lascereste in balia di uffici multipli talvolta perfino con competenze sovrapposte?





La verità è che i numeri proposti sono solo un assaggio di quello che potrebbe essere fatto se venisse eliminato il digital divide. Il risparmio sarebbe notevole, ma non sarebbe solo un risparmio di risorse materiali o di punti di PIL investiti in spesa pubblica, bensì sarebbe un risparmio di risorse umane. In parole povere il tutto causerebbe disoccupazione, quella che più di ottant'anni fa J.M.Keynes definiva "disoccupazione tecnologica". Un paio di docenti del MIT hanno scritto un bel libro a proposito, lo consiglio spassionatamente -> Race Against the Machine


Sono molti gli scettici, eppure il cambiamento è sotto i loro occhi ogni giorno. Ogni volta che passiamo il casello di un'autostrada usando il telepass, quando prendiamo un volo low cost, ogni volta che utilizziamo wikipedia piuttosto che la fotocamera dello smartphone stiamo godendo di progressi tecnologici che hanno cambiato il modo di vivere e allo stesso tempo cancellato posti di lavoro. L'esempio più lampante è forse quello del mondo della musica. Tornando indietro negli anni ci accorgiamo che sono avvenute svariate innovazioni radicali. Sto parlando dell'avvento della musicassetta che è andata progressivamente a sostituire il vinile, così come poi è successo con il CD-ROM fino ai giorni nostri, o meglio una decina di anni fa con l'MP3. Fino all'ultima innovazione c'era bisogno di un sistema logistico che seguisse l'intera catena dalla produzione alla distribuzione. Bisognava produrre un supporto fisico, passare per uno studio di registrazione, le tracce andavano poi incise sui diversi formati, questi andavano poi distribuiti nei vari punti vendita, esposti e venduti. Questa catena contava un'innumerevole serie di lavoratori che l'attuale modello di produzione e distribuzione di materiale audio non prevede più. Inoltre il fatto che un album venda 100 o 10 milioni di copie non comporta il benché minimo aumento di lavoro in termini di personale (ecco un post che parla dell'innovazione nel campo della musica). Voi direte che questo vale solamente per il campo della musica o al più dell'intrattenimento (giochi, libri, film) ma come ho spiegato il tutto va a incidere sull'indotto. Ad ogni modo vi sbagliate se credete che gli altri settori non siano interessati dai cambiamenti che la tecnologia sta apportando sempre più nel nostro mondo.

La tecnologia non comporta solamente i settori high tech, è invece trasversale e va ad impattare su tutti i settori. Cambia la vita all'albergatore che riceve le prenotazioni online così come i pagamenti, cambia la vita di chi guida i treni nelle metropolitane (a Copenaghen la metro è senza conducente) cambia la vita a chi lavora nei magazzini che sono sempre più automatizzati. Potrei dirvi che a breve cambierà la vita anche ai muratori, dei macchinari in stile stampante 3D sono già in fase di studio per la costruzione di stabili. Il vostro smartphone è già in grado, anche se non perfettamente, di capire la vostra voce. La tecnologia continua ad avanzare con ritmo esponenziale e sempre più lavori sono a rischio. Non riconoscere questo cambiamento che porterà man mano all'aumento della disoccupazione o alla presenza di lavori rimpiazzabili dalla tecnologia è semplicemente anacronistico.



Chi promette di creare i presupposti e le condizioni per creare posti di "lavoro" e allo stesso tempo di risparmiare, efficientare, sinergizzare o riorganizzare i processi così come li conosciamo in questo Paese, si contraddice. Se tagliamo le auto blu, dovremmo tagliare anche coloro i quali quelle auto le guidano, se semplifichiamo la PA, gli addetti alle procedure che andranno a sparire si troveranno anch'essi senza lavoro. Di per sé la difficoltà non sta nel creare lavoro, lo è altresì creare posti di lavoro produttivi.

Voglio citare un aneddoto raccontato da un amico dal premio nobel all’economia (1976) Milton Friedman (Brooklyn, 31 luglio 1912 – San Francisco, 16 novembre 2006).

Una volta, a cena, Milton ricordò che negli anni Sessanta si trovava in un Paese asiatico e di aver visitato un cantiere per la realizzazione di un canale. Friedman rimase colpito dal fatto che, anziché servirsi di macchinari e ruspe, gli operai usavano pala e piccone e chiese al suo accompagnatore per quale motivo non venivano usate più macchine. Il funzionario statale rispose: «Lei non capisce: questo è un programma per la creazione di posti di lavoro». Al che Milton rispose: «Ah, credevo che voleste scavare un canale. Se quello che volete sono più posti di lavoro, allora dovreste dare a questi operai dei cucchiai, non delle pale».


Questo aneddoto spiega quanto “facile” sia “creare” lavori improduttivi, mentre incoraggiare lo sviluppo di lavori che devono misurarsi con le regole di mercato e la concorrenza, spesso internazionale, è ben altra cosa.

L'argomento sarebbe lunghissimo da dibattere, chiudo quindi con un pezzo tratto dal Corriere della Sera che riassume in maniera molto efficace la situazione... correva l'anno 1998!


Qual e' la causa di una disoccupazione il cui livello fisiologico dovrebbe essere del 5 - 6 per cento e che invece veleggia da tempo, in troppi Paesi dell'Ue, a livelli del 10 - 12 per cento? Le cause sono ovviamente parecchie. Ma quella più sottaciuta dagli economisti e' che la disoccupazione della fine del XX secolo ha, come sua fonte primaria, il progresso tecnologico, e quindi un fattore strutturale. Agli economisti non piace ammetterlo, perché la loro farmacopea sa curare le crisi congiunturali assai meglio delle crisi strutturali. Ma tant'è. La tecnologia produce disoccupazione per la semplicissima ragione che la macchina sostituisce il lavoratore. Per circa due secoli non e' stato così perché il lavoratore sostituito dalla macchina è stato rioccupato nella produzione delle macchine. Ma questo riassorbimento virtuoso è stato inceppato dalla macchina che fabbrica la macchina, dai robot. Il problema è stato eluso per alcuni decenni inflazionando il terziario e la cosiddetta società dei servizi. La società dei servizi e' stata osannata senza che gli economisti ne avvertissero l'insidia, e cioè che stavano nascendo società parassitarie, società iperburocratizzate caratterizzate da occupazioni improduttive (e di cui gli economisti non sanno misurare la produttività). Non poteva durare, e difatti il bubbone è scoppiato. E a questo punto è troppo tardi per rimediare alla svelta. Se mai ci fosse stato, oggi il pronto rimedio non c'è più. Non è vero, pertanto, che il problema si risolve con gli investimenti, investendo di più. Se l'investimento è in tecnologia, se è ancora in macchine (o, come si dice in inglese, capital intensive), allora non riduce la disoccupazione. La disoccupazione è ridotta solo da investimenti labour intensive, e cioè indirizzati su attività che richiedono mano d'opera, lavoro a mano. E se le cose stanno così, così va detto. Ma va anche detto chiaro e forte che non dobbiamo inventare mano, o mani, d'opera che sono soltanto mani improduttive e quindi costi improduttivi, costi che aggravano i nostri già gravissimi problemi.”

Nessun commento:

Posta un commento