giovedì 10 aprile 2014

Risparmio VS Consumo

Ieri sera, mentre cenavo, ho distrattamente ascoltato un telegiornale, un servizio in particolare citava dati ISTAT appena pubblicati, rimarcava come i consumi fossero ancora in calo, mentre i risparmi aumentavano. Il servizio spiegava poi come le famiglie stessero perdendo potere d'acquisto, nonostante la bassa inflazione e quindi sentendo il periodo negativo preferiscano spendere meno e risparmiare dove possibile. Il tutto era presentato con il classico disfattismo che enfatizza le pubblicazioni ISTAT su materie economiche negli ultimi anni. Al che mi sono detto, questo è un Paese strano, tutti vogliono i consumi mentre i padri costituenti ci hanno consigliato di scegliere il risparmio, facendo sì che lo Stato lo agevoli. Come direbbe Crozza siamo nel Paese delle meraviglie.

Art. 47.
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.
Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Con l'andare degli anni probabilmente la Costituzione è "sbiadita", in quanto tutt'oggi tra tutti coloro che rappresentano questo Paese, dal governo al parlamento, la parola d'ordine è far ripartire i consumi. Non sono un'economista ma sul vocabolario dei sinonimi e dei contrari alla voce risparmio trovo come primo contrario consumo. Del resto è evidente che consumando qualcosa non la risparmio e se la risparmio non la consumo.

rispàrmio s. m. [der. di risparmiare]. –
a. Il fatto di risparmiare, di astenersi cioè dall’usare, dal consumare una cosa posseduta o di limitarne l’uso per varie ragioni o scopi;
b. Con valore concr., il denaro messo da parte risparmiando;

Ad ogni modo, non senza fondamento, chi ci governa ci racconta sempre la storia della crescita. I consumi aumentano la produzione, che a sua volta genera posti di lavoro che infine generano nuovi consumi e non tralasciamo nuove tasse incassate per l'erario. Molti degli stessi politici hanno però affermato che un'aumento di PIL inferiore al 2% non genera alcun nuovo posto di lavoro, poiché l'avanzamento tecnologico soddisfa già questo aumento marginale di domanda. La catena, almeno per come la pensa il sottoscritto qui si inceppa.



E' sufficiente pensare a un contesto quotidiano, basta immaginarsi una famiglia tipo, dove la mamma cucina per tutti; se un giorno il figlio invita qualcuno a cena, non vi sarà un altro cuoco, la mamma aumenterà semplicemente le dosi del pasto. Questo finché l'aumento di produzione necessario a sopperire la domanda è coperto dai macchinari già in dote all'azienda (in questo caso la classica pentola per fare la pasta). Se invece di chiamare un amico il figlio di questa signora chiamasse tutta la sua squadra di calcio, e la cosa si ripetesse regolarmente, probabilmente la signora dovrebbe acquistare una pentola più capiente, ma rimarrebbe sempre e solo lei a cucinare. Avrebbe fatto un investimento in "macchinari", non in forza lavoro. Certo, l'indotto generato dall'aumento di pasti potrebbe aver dato lavoro a un garzone per un'ora al giorno per servire i pasti e ripulire il tutto, ma quello che si evince è che l'aumento di posti di lavoro è molto meno che proporzionale rispetto all'aumento della domanda (e quindi dell'aumento dei consumi). In alcuni casi, come quello della distribuzione della musica, nel mondo digitale, l'aumento di posti di lavoro è quasi insignificante all'aumentare anche esponenzialmente della domanda di un certo brano o album (ne ho parlato in questo post).

Abbiamo quindi concluso che il consumo genera sì posti di lavoro, ma che tale processo è tutt'altro che automatico e proporzionale. Veniamo ora alle misure implementate dal governo per influenzare i cittadini a consumare, partiamo dall'aumento dell'IVA ordinaria che in poco tempo è andata dal 20% al 22%. Questa è sicuramente una misura che ha avuto un'effetto contrario all'aumento dei consumi, per il semplice fatto che un aumento dei prezzi mantenendo fermo il potere d'acquisto porta alla diminuzione della domanda, in varie forme e in base all'elasticità della domanda del bene specifico. Questa misura è inoltre iniqua poiché non differenzia i consumatori e quindi l'applicazione della tassa in base alla possibilità contributiva del cittadino. A controbilanciare l'aumento dell'IVA ci sono i famosi 80 euro mensili in busta paga per i redditi da lavoro dipendente inferiori a 25 mila euro (cifra approssimativa del lordo annuo). Questa manovra mira quindi a mettere soldi nelle tasche degli italiani con la speranza che gli spendano. Se questi soldi vengono spesi generano infatti una nuova entrata per l'erario. Allo stesso tempo lo Stato decide di tassare il risparmio portando la la ritenuta fiscale un investimenti diversi dai titoli di Stato dal 20% al 26%, lasciando invece invariata la percentuale relativa a quest'ultimi al 12,5%. Il messaggio è abbastanza chiaro, se volete investire (risparmiare) acquistate titoli di Stato, visto l'elevato debito pubblico italiano è sempre bene fidelizzare i risparmiatori; altrimenti alimentate i consumi.



Il problema è che non si può incoraggiare allo stesso tempo il risparmio e il consumo, delle due l'una. Ogni tanto spunta un'altra opzione per far cassa, la "patrimoniale". Premesso che una sorta di patrimoniale già esiste, quando la si nomina viene proprio da pensare che la tutela del risparmio proprio non esiste. Pensiamo per un secondo a due persone che fanno lo stesso lavoro e pagano regolarmente le tasse, una ha passato la vita risparmiando per quando andrà in pensione, per sé e per la propria famiglia; l'altro invece ha passato la sua vita a spendere il suo stipendio in frivolezze e sfizi mantenendo uno stile di vita al di sopra delle sue possibilità, senza aver mai risparmiato un soldo, con il conto corrente che oscilla spesso attorno allo zero. Applicando una patrimoniale, il primo dovrebbe pagare una somma ingente, mentre il secondo non dovrebbe pagare alcunché. Il fatto, per l'immaginario comune è ingiusto, pensando invece in termini di contributo alle spese dello Stato la situazione è un leggermente diversa. La "cicala" che spende il suo reddito in sigarette, bar, prodotti elettronici all'ultimo grido e via dicendo, garantisce un'entrata molto elevata all'erario. La "formica" che risparmia fa entrare invece molto poco nelle casse del Paese. Ipotizziamo che entrambi abbiano un conto corrente e un dossier titoli, se la "cicala" spende 1000 euro in sigarette versa ad oggi 180 euro circa all'erario (IVA al 22%), generando altresì lavoro per coloro che producono e distribuiscono sigarette. La "formica" che investe 1000 euro in buoni postali al 3% lordo, frutta allo Stato circa 6 euro, ossia la ritenuta fiscale sul capital gain al 20%. Non solo "la formica" ha generato un gettito minore per le casse statali, ma allo stesso tempo non ha dato lavoro a nessuno, in quanto l'acquisto e la gestione dell'obbligazione postale se l'è fatta da solo tramite l'home banking, creando quindi un aumento insignificante della necessità di lavoro umano. Chiaramente, i soldi risparmiati dalla formica generano la possibilità del credito a terzi, ossia cicale che a loro volta prendono a prestito denaro per alimentare i consumi, il che è però un fatto non automatico e del tutto aleatorio, senza contare che questi individui potrebbero essere stranieri e quindi non spendere nemmeno un centesimo in Italia!

Risulta quindi chiaro che nel breve-medio periodo il risparmio è una fattispecie negativa per lo Stato, in quanto genera un minore gettito, quindi meno risorse a disposizione per effettuare politiche di qualsivoglia genere. Più si va sul lungo periodo più l'effetto negativo andrà scemando in quanto i soldi risparmiati, prima o poi verranno spesi, o, ad ogni modo, la probabilità che vengano spesi aumenta, pur non avendone alcuna certezza. Da tutto ciò si evince che per favorire la crescita i consumi sono necessari, e dato che i consumi sono l'esatto contrario dei risparmi o i padri costituenti poco meno di settant'anni fa hanno scritto una scemenza, oppure il sistema socio-economico così come si è evoluto mina uno dei dettati costituzionali, quello che semplificando  richiamava la lezione che si fa ai bambini con la storiella della cicala e della formica ...delle due l'una. 
    

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